Vaccino Johnson&Johnson: la seconda dose? Quando va fatta?
Il vaccino Johnson&Johnson dopo due mesi non copre più. Ed è probabile che si percorra la strada di una somministrazione aggiuntiva per il milione e mezzo di italiani che hanno ricevuto il siero J&J.
Una nuova notizia ha creato ripercussioni in tutti coloro che nei mesi passati si sono sottoposti al siero Johnson&Johnson ignari del breve tempo di copertura vaccinale, due mesi. Una somministrazione aggiuntiva potrà essere autorizzata dall’AIFA per il milione e mezzo di italiani coinvolti.
Ci sarò una seconda dose? A dare una prima risposta è Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute: “Ci sarà una priorità per coloro che hanno fatto il vaccino J&J e che dovranno fare la seconda dose“. Quando? “Le indicazioni saranno date a breve in maniera chiara ed esaustiva“, continua Sileri.
Seppur la priorità è virata verso coloro che si sono vaccinati con J&J, da Israele arrivano le prime conferme di una dose di rinforzo per tutti i vaccinati contro il Covid-19 per evitare contagi.
Un’affermazione basata su evidenza scientifica: è stato dimostrato che dopo 6 mesi dalla seconda dose, la protezione inizia a diminuire. Man mano diventa sempre più debole, esponendo il soggetto al rischio d’infezione soprattutto dov’è diffusa la variante Delta.
Ed Israele è il primo Paese al mondo che ha condotto la campagna di vaccinazione di massa e che da giugno vede crescere il numero dei contagi di pari passo con la variante Delta tanto da indurre il governo ad indicare la terza dose già da agosto.
Gli aumenti dei contagi non sono dati dall’arrivo della variante Delta o da un’inefficace protezione da questa da parte dei vaccini ma da una diminuzione della protezione dei sieri con il passare del tempo dalla somministrazione.
“I sei mesi (di copertura) sono ormai sicuri e si pensa che dopo questo periodo di tempo ci sia un declino. Ma bisogna anche vedere come si valuta la durata: tenere in conto solo gli anticorpi non è un buon mezzo. Lo ha già detto la Fda specificando che l’immunità è anche a livello cellulare”, dice Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa complessa malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma.