Dalla Svizzera nuove speranze per la lotta alla malaria
La malaria è una malattia che uccide ogni anno milioni di persone nel mondo e costituisce una delle principali cause di morte e in particolare nei paesi della fascia tropicale e subtropicale.
Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature apre nuove speranze nella lotta a questa terribile parassitosi.
Sono state scoperte, infatti, due nuove tipologie di anticorpi non convenzionali che sono frequentemente prodotti da individui esposti alla malaria e che contengono un frammento aggiuntivo che riconosce i parassiti della stessa malattia.
La ricerca che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione da sempre attenta alle scoperte che possono aiutare il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, è meritevole di diffusione anche nel Nostro Paese, è stata eseguita presso l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona, affiliato all’Università della Svizzera Italiana (USI), in collaborazione con il KEMRI-Wellcome Trust Research Programme in Kenya, il Malaria Research and Training Centre in Mali, l’Ifakara Health Institute in Tanzania, lo Swiss Tropical and Public Health Institute di Basilea e l’Università di Oxford ed è stato finanziato dallo Swiss Vaccine Research Institute, dalla Fondazione Aldo e Cele Daccò e dall’European Research Council (ERC).
Il parassita della malaria, il Plasmodium falciparum, è la causa della forma più grave e mortale di malaria. Nonostante ciò, alcuni individui che vivono in regioni in cui è diffusa la malattia possono divenire immuni da quest’infezione producendo da soli anticorpi in grado di riconoscere diversi parassiti della malaria. Già due anni or sono il team dell’IRB e i loro collaboratori avevano scoperto una nuova classe di anticorpi che mostrava un’ampia reattività verso i parassiti della malaria grazie alla presenza di un grande frammento aggiuntivo nella struttura anticorpale.
Questo frammento, chiamato LAIR1, originava da una sequenza di DNA che si trova sul cromosoma 19 e si inseriva nei geni degli anticorpi presenti sul cromosoma 14 per generare anticorpi non convenzionali che legano delle proteine specifiche del parassita, chiamate RIFIN.
Questi risultati illustravano, nel rilevante contesto della malaria, un nuovo meccanismo di diversificazione degli anticorpi; la frequenza di questi particolari anticorpi e i dettagli molecolari di tale meccanismo non erano tuttavia noti.
In questa nuova ricerca si è scoperto che fino al 10% degli individui che sono esposti alla malaria in Kenya, in Mali e in Tanzania, producono anticorpi contenenti il LAIR1: un dato che suggerisce come questo nuovo tipo di anticorpo sia un’arma piuttosto comune per combattere l’infezione.
Molti di questi anticorpi hanno una struttura simile a quella già descritta nel lavoro precedente, tuttavia i ricercatori hanno scoperto degli altri anticorpi con una struttura completamente nuova, in cui il LAIR1 è inserito nel cosiddetto “gomito” dell’anticorpo.
Questo meccanismo di inserimento di LAIR1 si differenzia da quello descritto nel primo studio per la sua capacità di generare anticorpi con due diverse specificità, chiamati anticorpi bispecifici.
Inoltre, studiando donatori europei non esposti alla malaria, i ricercatori hanno scoperto che sequenze di DNA derivanti da tutti i cromosomi si possono inserire nei geni degli anticorpi e – in alcuni casi – possono generare nuovi anticorpi bispecifici.
Questi risultati fanno pensare che il nuovo meccanismo di inserimento rappresenti uno strumento aggiuntivo di diversificazione degli anticorpi che può essere selezionato nella risposta immunitaria contro i patogeni e che potrebbe essere sfruttato per l’ingegneria dei linfociti B al fine di sviluppare nuovi approcci terapeutici. Il direttore dell’IRB e coordinatore dello studio Antonio Lanzavecchia ha commentato: “È sorprendente scoprire oggi nuovi tipi di anticorpi generati con un nuovo meccanismo molecolare. Questo dimostra come lo studio della risposta immunitaria dell’uomo, che abbiamo intrapreso da tempo all’IRB, può non solo portare a scoperte fondamentali ma anche a nuove applicazioni terapeutiche. Per molti anni l’uomo ha cercato nuovi modi per ingegnerizzare gli anticorpi. Ora sappiamo che la natura aveva già scoperto questo meccanismo”.