Se mangiamo meno velocemente, prendiamo meno peso. Lo dice una ricerca
Se stai cercando di perdere peso, rallentare quando mangi potrebbe fare la differenza. Lo sostiene uno studio giapponese.
Se stai cercando di perdere peso, rallentare quando mangi potrebbe fare la differenza.
Lo suggerisce uno studio condotto in Giappone che ha individuato possibili legami tra le abitudini alimentari e la perdita di peso tra quasi 60mila persone con diagnosi di diabete di tipo 2.
Già in passato alcuni esperti hanno ritenuto che, quando le persone mangiano più velocemente, c’è meno tempo affinché il segnale di pienezza raggiunga il cervello, aumentando così il rischio di eccesso di cibo.
Gli autori dello studio, Haruhisa Fukuda e Yumi Hurst, della Kyushu University Graduate School of Medical Sciences di Fukuoka, Giappone, hanno pubblicato un’ipotesi simile su BMJ Open.
L’analisi statistica dello studio ha anche collegato la perdita di peso all’eliminazione degli snack dopo cena e al non mangiare entro le due ore prima di andare a letto.
Ai partecipanti allo studio sono state chieste informazioni sulle abitudini alimentari e sul sonno, così come sul consumo di alcol e tabacco.
Controllando regolarmente i partecipanti per sei anni, i medici hanno anche misurato il peso e la circonferenza della vita, nonché hanno somministrato test di sangue, urina e fegato.
Ai partecipanti è stato chiesto se mangiavano in maniera lenta, normale o veloce. La soggettività delle risposte è uno dei limiti dello studio.
Rispetto a chi diceva di mangiare velocemente, in quelli che mangiavano a una velocità normale è stato riscontrato il 29% in meno di probabilità di essere definiti obesi. Ancora meglio la percentuale per chi ha sostenuto di mangiare lentamente.
L’obesità, ricordiamo, è associata a un rischio più elevato di sviluppare diabete, malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro.
COSA MANCA
La ricerca è uno studio osservazionale, il che significa che non può fornire conclusioni sul rapporto tra causa ed effetto.
Va, inoltre, osservato che i ricercatori non hanno considerato l’assunzione di energia o i livelli di attività fisica, che potrebbero influenzare i risultati.