Quanti ludopatici ci sono in Italia?
La ludopatia esiste da quando l’uomo gioca d’azzardo. Le prime tracce risalgono al 3.000 a.C. nella zona della Mesopotamia, l’attuale Iraq, dove sono stati rinvenuti strumenti di gioco rudimentali praticati dalla popolazione locale. Il gioco storico si basava sul lancio di bastoncini o dadi il cui risultato poteva essere pari o dispari.
Scommettevano anche i cinesi circa 2.300 anni prima della nascita di Cristo con alcune piastrelle che venivano usate nelle scommesse. Così come gli egiziani: gli archeologi hanno ritrovato dei dati risalenti al 1.500 a.C.
Si giocava d’azzardo – e molto – anche nell’antica Roma: con par impar (pari e dispari), con caput aut navia (testa o croce), con il gioco degli astragali, a morra…
E proprio nell’Urbe, come raccontato da www.romanoimpero.com, già il fenomeno della ludopatia era ritenuto così rilevante che si poteva giocare solo nel mese di dicembre, durante i Saturnali (dal 17 al 23 dicembre), motivo per cui i giocatori si riunivano spesso nel retro dei thermopolium o delle locande.
Infatti, “se qualcuno veniva colto in fallo il giocatore pagava una multa di quattro volte la posta scommessa […] In tutti questi giochi si scommettevano parecchi soldi, che a volte dilapidavano i beni del giocatore, ed ecco la ragione delle proibizioni”. Inoltre, “i debiti di gioco non erano riconosciuti e se il giocatore debitore aveva già pagato poteva richiedere giudizialmente quanto aveva dato al giocatore creditore, il che frenava in parte i giocatori (la nostra legge non prevede la restituzione di quanto spontaneamente pagato dal debitore al gioco)”.
Oggi, però, la ludopatia ha dimensioni più vaste rispetto persino al recente passato perché, nel frattempo, c’è stata un’invenzione che ha rivoluzionato ogni rapporto sociale: internet. Un’innovazione che ha naturalmente portato immensi benefici all’umanità ma ha pure permesso al suo lato oscuro di non avere più confini. E ciò ha riguardato anche il gioco d’azzardo con il proliferare di siti dove esercitarlo con ‘tranquillità’ a casa, avendo al contempo la facilità di accesso alle risorse finanziarie, con il beneplacito dello Stato che così ha potuto aumentare le sue entrate, mettendogli il bollo ‘AAMS’ ai concessionari.
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Per di più, sono altresì moltiplicati i luoghi fisici dove poter giocare. I tabaccai, anzitutto, sono diventati dei casinò: slot machines, varie modalità di lotto (anche in tempo reale), superenalotto (con jackpot così alti che non possono che stuzzicare soprattutto gli strati economicamente più deboli della società), scommesse sportive (e pure sui programmi televisivi), giochi virtuali (calcio, ippica, corsa dei cani, ciclismo…), gratta e vinci di ogni costo e sorta. Senza dimenticare ovviamente le sale bingo e le sale scommesse. Insomma, gli italiani sono circondati dal gioco d’azzardo con il paradosso dello Stato che sì riconosce i rischi e i pericoli della ludopatia – con normative che, come scriverò più avanti, hanno falle evidenti – ma li incentiva al contempo per aumentare i propri incassi.
Prova di tutto questo è il numero di malati patologici di dipendenza da gioco d’azzardo diagnosticati in Italia: 1,3 milioni. Una cifra che naturalmente va considerata in rialzo perché tra i sintomi della ludopatia ci sono la menzogna e la solitudine.
Il dato è stato diffuso nel luglio del 2022 da Consulcesi, network europeo di professionisti della Sanità.
Nel dettaglio, soltanto poco meno del 10%, circa 12 mila sono in cura. Mentre, secondo quanto riportato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (che regola il rapporto tra lo Stato – banco e le concessionarie), il numero delle puntate registrate in Italia nel 2018 ha raggiunto i 106,8 miliardi di euro, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente. In pratica, è come se ogni italiano scommettesse un totale di 1.780 euro all’anno.
Paradossalmente, durante il lockdown del 2020 decretato dal Governo Conte a causa della pandemia di Covid-19, durato due mesi e mezzo, sono diminuiti i comportamenti impulsivi legati alle dipendenze: è passato dal 16,3% pre-pandemia al 9,7% durante il confinamento forzato per poi risalire al 18% quando le restrizioni si sono allentate.
Questi i dati rilevati dall’Istituto superiore di sanità, in collaborazione con l’Istituto Mario Negri, l’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO), l’Università degli studi di Pavia e l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano sull’abitudine al gioco degli italiani, riportato in un articolo di Repubblica del 26 febbraio 2021 a firma di Agnese Ananasso.
Ovviamente, in quel periodo è diminuito il gioco fisico perché le sale scommesse e bingo erano state chiuse per decreto ma l’1% degli intervistati ha ammesso di essere entrato nel mondo del gioco d’azzardo per la prima volta.
Perché è successo? Secondo, lo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi, direttore dell’Istituto di terapia cognitivo interpersonale, “in generale abbiamo assistito ad un contenimento di tutti i comportamenti impulsivi, grazie alla chiusura dei centri di scommessa e al fatto che stando confinati con la propria famiglia o con alcuni conviventi, si è ridotta necessariamente la ricerca spasmodica del gioco, con una migliore regolazione emotiva”.
Da aggiungere, però, anche l’elemento del controllo: il lockdown, determinando che l’intera famiglia era costretta a stare a casa, ha diminuito per il ludopatico la possibilità di dedicarsi al gioco online per il rischio di essere scoperto.
“Tuttavia si è trattato soltanto di apparenza. È vero che le persone si sono ubriacate di meno, hanno utilizzato meno le sostanze stupefacenti, hanno giocato meno, hanno cioè regolato meglio tutti i comportamenti impulsivi ma è durato pochissimo. Appena la vita ha ripreso un ritmo leggermente più veloce e appena qualche contenimento è venuto a mancare di nuovo, c’è stato il ricorso all’impulsività”, ha concluso Cantelmi.