Operato per curare un cancro ma poi ha una paralisi e muore
Resta con le gambe paralizzate a causa di un intervento chirurgico andato male. La paralisi si estende anche all’intestino e, dopo un mese e mezzo, il paziente muore.
A distanza di quasi tre anni finisce davanti ai giudici di Napoli la vicenda di un 73enne operato nell’azienda ospedaliera dei Colli di Napoli, il 2 marzo 2017, morto nell’ospedale San Paolo, il 17 aprile.
La Procura di Napoli ha citato in giudizio i tre medici coinvolti nella vicenda, ipotizzando sulla base di una perizia le lesioni colpose in cooperazione. Una contestazione, invece, che la vedova, anche lei sulla base di un accertamento di parte, classifica falsa: «È morto per il tumore? No, me l’hanno ucciso».
A.M. – queste le iniziali del paziente – venne sottoposto a un intervento chirurgico curativo il 2 marzo 2017, a causa di un cancro. Dalla sala operatoria, però, ne uscì con un ematoma epidurale e gravi problemi motori che poi si trasformarono in paralisi. Tutto a causa della rimozione accidentale di un catetere.
I medici non si accorsero delle conseguenze causate da quella rimozione, cioè della raccolta ematica e della pressione che esercitava, ritenuta causa della paralisi: invece di una risonanza magnetica spinale di controllo avevano disposto una tac spinale-dorsale.
La presenza dell’ematoma, che emerge il 7 marzo (5 giorni dopo la prima operazione), costrinse i chirurghi ad operare nuovamente per rimuovere il versamento. Il paziente viene trasferito in una clinica di Fuorigrotta per un trattamento riabilitativo. Ma la situazione precipita e il 17 aprile il 73enne muore.
«Riteniamo – ha sottolineato l’avvocato Sergio Pisani, legale della vedova – che la morte sia una conseguenza di quell’errore medico e non dalla neoplasia, che non era un adenocarcinoma ma una neoplasia papillare mucinosa intraduttale (IPMN). Una grossa differenza, visto che nel primo caso la sopravvivenza a 5 anni è bassa mentre sale vertiginosamente nel secondo».
Secondo quanto si legge nella relazione redatta dal consulente di parte Saverio Terracciano, «l’arresto cardio-circolatorio è, con elevato criterio di credibilità razionale, riconducibile alla severa ischemia midollare diffusa» e quindi, ha concluso la perizia, «ci sono multipli elementi per ammettere difetti di condotta tecnico-professionale dei professionisti nella produzione di un danno neurologico… e della conseguente drammatica evoluzione clinica, culminata nell’arresto cardiocircolatorio».
Per il consulente A. M. sarebbe stato ucciso da un’ischemia midollare che nulla a che fare con il tumore. Se ne riparlerà a settembre 2020, davanti a un giudice monocratico del Tribunale di Napoli. Fonte: Ansa.