Alzheimer e dita nel naso: c’è un legame, la scoperta

Si tratta di un'abitudine per molte persone, adulti e bambini. Un gesto che spesso si fa involontariamente, quasi senza accorgersene: mettersi le dita nel naso. E se fosse una consuetudine dannosa per la salute?

Si tratta di un’abitudine per molte persone, adulti e bambini. Un gesto che spesso si fa involontariamente, quasi senza accorgersene: mettersi le dita nel naso.

E se fosse una consuetudine dannosa per la salute? La domanda è più che lecita, perché un sorprendente studio effettuato su alcuni topi ha rivelato un legame debole ma plausibile tra il mettersi le dita nel naso e l’aumento del rischio di sviluppare demenza.

Stuzzicarsi il naso danneggia i tessuti interni, e favorisce il percorso verso il cervello di alcune specie di batteri. Il cervello, a questi batteri, reagisce in modi che ricordano i sintomi del morbo di Alzheimer.

Il morbo di Alzheimer e la ricerca australiana

Le ricerche scientifiche sul morbo di Alzheimer sono numerose e si svolgono in tutto il mondo.

Per certi versi si tratta di una malattia ancora poco conosciuta e saranno necessarie, per comprenderla meglio, ulteriori ricerche.

Il morbo di Alzheimer è un disturbo neurocognitivo che costituisce la causa più comune di demenza; rappresenta dal 60% all’80% delle demenze nell’anziano. La percentuale di persone con malattia di Alzheimer aumenta con l’età.

Un team di ricercatori e scienziati della Griffith University in Australia ha condotto dei test con un batterio chiamato Chlamydia pneumoniae, che può infettare gli esseri umani e causare la polmonite.

Si tratta di un batterio presente anche nella maggior parte dei cervelli di persone affette da demenza tardiva.

Il test condotto sui topi ha dimostrato che i batteri possono risalire il nervo olfattivo (che unisce la cavità nasale al cervello). Inoltre, quando si verifica un danno all’epitelio nasale (il sottile tessuto che ricopre la cavità nasale), le infezioni ai nervi peggiorano.

Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che ciò ha portato i cervelli dei topi a depositare una maggiore quantità di proteina beta-amiloide, che viene rilasciata in risposta alle infezioni. Placche (o grumi) di questa proteina si trovano anche in concentrazioni significative nelle persone affette da Alzheimer .

Cosa hanno detto i ricercatori, l’allarme

I primi risultati dello studio, che continua, sono stati pubblicati poco più di due anni fa su Scientific Reports. “Siamo i primi a dimostrare che la Chlamydia pneumoniae può risalire direttamente dal naso e raggiungere il cervello, dove può scatenare patologie simili al morbo di Alzheimer”, ha affermato il neuroscienziato James St John della Griffith University.

E ancora: “Abbiamo visto che ciò accade in un modello murino e le prove sono potenzialmente spaventose anche per gli esseri umani”.

A suscitare preoccupazione è la velocità con cui il batterio si è annidato nel sistema nervoso centrale dei topi, sviluppando un’infezione nel giro di 24-72 ore.

Quindi, il naso sarebbe, per batteri e virus, una via rapida per raggiungere il cervello.

Anche se non è certo che le placche beta-amiloidi siano una causa dell’Alzheimer, si tratta di evidenze scientifiche molto importanti da approfondire ulteriormente per comprendere questa malattia neurodegenerativa assai diffusa e combatterla.

“Dobbiamo condurre questo studio sugli esseri umani e confermare se lo stesso percorso funziona nello stesso modo”, ha affermato St John che ha aggiunto: “È una ricerca che è stata proposta da molte persone, ma non ancora completata. Quello che sappiamo è che questi stessi batteri sono presenti negli esseri umani, ma non abbiamo ancora capito come ci arrivano”.

Le dita nel naso

E’ stato stimato che fino a 9 persone su 10 hanno l’abitudine di mettersi le dita nel naso, così come anche altre specie, basti pensare alle scimmie.

Come ha specificato St John sono previsti studi simili sugli stessi processi negli esseri umani, ma intanto i ricercatori ammoniscono: mettersi le dita nel naso, o strapparsi i peli dal naso, “non è una buona idea”, proprio perché ciò arreca un danno al tessuto protettivo del naso, facilitando la proliferazione di virus e batteri.

Gli scenari futuri

Una delle domande irrisolte a cui il team cercherà di dare risposta è se l’aumento dei depositi di proteina beta-amiloide sia una risposta immunitaria naturale e sana che può essere invertita quando l’infezione viene debellata.

In merito all’Alzheimer St John ha concluso: “Una volta superati i 65 anni, il fattore di rischio aumenta notevolmente, ma stiamo valutando anche altre cause, perché non è solo l’età a fare la differenza, ma anche l’esposizione ambientale. E noi pensiamo che batteri e virus siano fondamentali”.

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