Fibrosi cistica: quale legame con il SARS-CoV-2?
La fibrosi cistica, malattia nota anche come mucoviscidosi, è una condizione patologica di origine genetica potenzialmente molto grave. I pazienti che ne sono affetti, infatti, soffrono frequentemente di insufficienza respiratoria.
Al centro dell’attenzione scientifica da anni soprattutto quando si parla di cure e di strategie preventive – queste ultime prendono il via dalla diagnosi preimpianto da parte delle coppie che vogliono avere un figlio e che riscontrano problemi di fertilità – la patologia è stata oggetto di uno studio recentemente pubblicato, che ha scoperto un suo legame sorprendente con il Covid 19.
Fibrosi cistica e Covid: lo studio rivoluzionario
Lo studio sopra citato, che ha coinvolto esperti dell’Università di Ferrara e dell’Azienda Ospedaliera Università Integrata di Verona, è stato pubblicato lo scorso 10 gennaio sulle pagine della rivista Nature Communications.
Gli studiosi appena menzionati si sono concentrati su un meccanismo molecolare molto particolare. Grazie ad esso, infatti, i pazienti affetti da fibrosi cistica sono protetti dal Covid.
Come specificato da due degli esperti che hanno condotto la ricerca, ossia Paolo Pinton e Alessandro Rimessi, il lavoro scientifico sopra menzionato ha permesso di scoprire che la proteina CFTR, ossia quella chiave per l’insorgenza della fibrosi cistica, è co-localizzata in corrispondenza dell’ormai famoso recettore ace2, ossia la “porta” che il SARS-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule del corpo umano.
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Nei quadri in cui il gene CFTR è presente a livelli bassi o non è al massimo delle sue funzioni, risulta alterata la localizzazione del sopra menzionato recettore.
Ciò si traduce, di riflesso, in una minor probabilità di infezione da parte del virus SARS-CoV-2 per i pazienti affetti da fibrosi cistica.
Il meccanismo appena descritto è duplice. Da un lato, infatti, abbassa le probabilità di contagio da parte del virus. Dall’altro, invece, si può apprezzare un tasso ridotto di replicazione del SARS-CoV-2 stesso. Gli esperti sottolineano che, grazie ai dati appena menzionati, potrebbe essere possibile iniziare a discutere di un ruolo degli inibitori CFTR come di potenziali antivirali.
I riflettori sono puntati, come ricordato dagli studiosi che hanno curato il lavoro scientifico sopra menzionato, su una molecola in grado di replicare l’attività del microRNA miR-145-5p, a sua volta capace di reprimere l’espressione della proteina CFTR (questo meccanismo è stato dimostrato da uno studio precedente dell’Università di Ferrara promosso dalla Fondazione Fibrosi Cistica).
La scoperta, non c’è che dire, è davvero rivoluzionaria: quando la si chiama in causa, è altresì necessario sottolineare che, a seconda dell’espressione di ace2, la celebre proteina Spike è stata in grado di indurre livelli alti di interleuchina 6 nelle cellule epiteliali delle prime vie aeree di donatori sani.
La risposta, invece, è stata molto debole in quelle di pazienti affetti da fibrosi cistica, malattia che, a tutti gli effetti, può essere considerata una comorbilità del Covid e aumentare il rischio di avere a che fare con effetti avversi in caso di contagio da parte del virus.
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