Bianca Balti e il tumore: qual è la sua patologia?

Bianca Balti è affetta da tumore ovarico. Cerchiamo di capire come si manifesta questa patologia, i sintomi, la diagnosi e il trattamento.

Sul palco dell’Ariston di Sanremo, Bianca Balti è stata un esempio per tutti di tenacia, forza e resilienza. La modella sta affrontando la sua malattia con il sorriso e una grinta invidiabile.

Bianca Balti è affetta da tumore ovarico. Cerchiamo di capire come si manifesta questa patologia, i sintomi, la diagnosi e il trattamento.

Cosa ha detto Bianca Balti

“Non sono venuta a fare la malata ma per celebrare la vita” aveva detto poche ore prima di entrare all’Ariston e così è stato. Con quattro cambi d’abito, non ha avuto paura di mostrare il suo corpo. Ha scelto di non indossare la parrucca o il turbante – la modella ha perso i capelli in seguito alla chemioterapia – e ha sfoggiato un vestito che mostrava la cicatrice post-operatoria sulla pancia. Si è presentata con tutta la sua bellezza naturale, non indugiando mai sulla sua malattia e mostrandosi nella sua bellezza più autentica.

La diagnosi di tumore alle ovaie nel settembre 2024

Pochi giorni fa, in occasione della Giornata Mondiale contro il Cancro, Bianca Balti ha condiviso sui social alcune riflessioni sulle tappe della sua lotta contro il tumore alle ovaie che le è stato diagnosticato a settembre. “È stata dura, ma non è ancora finita… Ciò che non mi ha ucciso mi ha fatto amare molto di più la vita”.

“Era l’8 settembre 2024, il giorno in cui il cancro, ovarico per essere precisi, è entrato nella mia vita” aveva raccontato Bianca Balti. La modella subito dopo l’intervento aveva annunciato la malattia sui social: “È stata una settimana piena di paura, dolore e lacrime ma soprattutto amore, speranze, risate e forza. So che ce la farò”. A ottobre ha iniziato il suo percorso di chemioterapia, terminato il 27 gennaio di quest’anno.

Cos’è il tumore ovarico

Come si legge sul sito dell’Istituto Mario Negri, il tumore ovarico è una neoplasia complessa, eterogenea e piuttosto aggressiva che colpisce le ovaie. Le evidenze scientifiche raccolte in questi anni suggeriscono che in realtà questo tumore è la manifestazione di più malattie che possono nascere in sedi diverse, ma che poi crescono e si sviluppano anche in sede ovarica.

Per questa ragione, sempre più ricercatori ritengono che il termine “tumore ovarico” sia riduttivo e che sia più corretto parlare di tumore maligno “dell’ovaio, delle tube o del peritoneo”, comprendendo tutta quell’area anatomica vicino alle ovaie.

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Due categorie di tumore ovarico

‍Secondo la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è possibile distinguere due categorie di tumore maligno ovarico: primitivo, che origina da uno dei tre elementi che costituisce l’ovaio stesso; secondario, che invece giunge all’ovaio da tumori insorti in altri organi.

Il tumore ovarico primitivo può essere ulteriormente classificato in: epiteliale, che origina da cellule epiteliali, come quelle che rivestono l’organo, questo tumore è anche definito carcinoma ovarico; stromale, che origina dallo stroma, ovvero il tessuto di sostegno dell’ovaio; germinale, che origina dalle cellule germinali primitive della gonade.

Solo il 10-15% dei tumori dell’ovaio è maligno e il carcinoma ovarico, quello di origine epiteliale, rappresenta il 60% dei tumori maligni diagnosticati.

Esistono diversi sottotipi di tumore all’ovaio: la forma più comune di questa patologia è il carcinoma sieroso ad alto grado, la cui origine sembra essere a livello dell’epitelio delle tube di Falloppio. Queste cellule si trasformano in cellule tumorali, raggiungendo e invadendo non solo l’ovaio, ma anche gli altri organi presenti nella cavità peritoneale.

L’incidenza

Il tumore dell’ovaio colpisce circa 6000 donne in Italia ogni anno (le stime sono relative al 2022), secondo i dati riportati nel rapporto “I numeri del cancro in Italia 2023” a cura, tra gli altri, dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Questo tumore si colloca tra le prime 10 forme tumorali più diffuse tra le donne e costituisce il 3 per cento circa delle diagnosi di tumore. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è circa del 43 per cento, perché in molti casi la malattia viene diagnosticata quando è in fase già avanzata. Tuttavia, i tassi di mortalità sono in diminuzione negli ultimi anni, grazie anche all’introduzione di nuove ed efficaci strategie di trattamento.

I sintomi della patologia

Sono tre i potenziali campanelli d’allarme di cui le donne dovrebbero tenere conto in quanto possibili indicatori precoci della presenza di un cancro delle ovaie: addome gonfio; meteorismo (presenza di aria nella pancia); bisogno frequente di urinare.

Tra gli altri possibili sintomi sono inclusi dolore addominale o pelvico, sanguinamento vaginale, stipsi o diarrea e anche sensazione di estrema stanchezza. Nelle fasi più avanzate della malattia potrebbero presentarsi anche senso di nausea, perdita di appetito e senso di pienezza subito dopo aver iniziato il pasto.

C’è da dire che il tumore dell’ovaio è una malattia molto subdola e l’assenza di sintomi precisi ne rende difficile la diagnosi precoce. La sintomatologia classica è molto generica ed aspecifica e potrebbe essere legata a cause che non hanno nulla a che vedere con la patologia.

La diagnosi

Purtroppo, non esistono ad oggi test di screening utili ad effettuare una diagnosi precoce del tumore dell’ovaio. Il percorso diagnostico da seguire in caso di sospetto tumore dell’ovaio prevede: un esame obiettivo ginecologico accurato, durante il quale il medico valuta i segni e i sintomi; un’analisi accurata della storia familiare (o anamnesi familiare) della paziente: questa è importante perché potrebbe far emergere una predisposizione genetica a questa patologia o al tumore al seno;

ecografia transaddominale o, ancor meglio, transvaginale per un’attenta valutazione di tutti gli organi nella zona pelvica; dosaggio nel sangue di specifiche proteine o marcatori tumorali.

Il trattamento

La chirurgia rappresenta il trattamento terapeutico di prima linea: più il chirurgo sarà scrupoloso nel riconoscere e rimuovere la massa tumorale e le eventuali metastasi, maggiore sarà la sopravvivenza delle pazienti.

Da segnalare un approccio attualmente piuttosto diffuso nell’approccio iniziale della malattia che è quello di far precedere all’intervento chirurgico un breve ciclo di chemioterapia denominata “neoadiuvante”, finalizzata a ridurre la massa tumorale e semplificare l’intervento chirurgico.

In ogni caso, dopo la chirurgia, le pazienti devono sottoporsi a chemioterapia, allo scopo di eliminare tutte le eventuali cellule maligne rimaste.

La chemioterapia si sta arricchendo di nuove proposte terapeutiche cosiddette di mantenimento.

L’avvento dei farmaci che contrastano la formazione dei vasi sanguigni, chiamati anti-angiogenici, ha portato alla approvazione di bevacizumab, un anticorpo monoclonale usato come antitumorale e somministrato per circa un anno dopo la chemioterapia, specie nelle pazienti a maggior rischio.

L’evoluzione della ricerca

In uno studio che ha avuto origine presso l’Istituto Mario Negri è stata dimostrata la presenza di DNA tumorale del carcinoma ovarico già in PAP test (esame di prevenzione e diagnosi del carcinoma del collo dell’utero, riconducibile al Papilloma-Virus) eseguiti anni prima della diagnosi di carcinoma dell’ovaio. Questi dati suggeriscono che le analisi molecolari messe a punto potrebbero consentire una diagnosi precoce del tumore.

Tutto questo permetterà in un futuro non troppo lontano la messa a punto di nuove ed efficaci strategie terapeutiche per combattere uno dei tumori più temuti.

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