Alzheimer, rivoluzionaria scoperta sulla possibile causa della malattia

L'Alzheimer è la principale forma di demenza al mondo che colpisce decine di milioni di persone.

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva perdita delle funzioni cognitive, tra cui memoria, linguaggio e capacità di risoluzione dei problemi. Attualmente, le cause precise dell’Alzheimer non sono completamente comprese, ma recenti ricerche hanno portato a scoperte significative che potrebbero rivoluzionare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di questa patologia.

La principale forma di demenza al mondo

L’Alzheimer è la principale forma di demenza al mondo che colpisce decine di milioni di persone.

Come si legge su Fanpage, i ricercatori hanno avanzato un’ipotesi rivoluzionaria sulla causa scatenante di questa malattia.

Secondo un nuovo studio, alla base vi sarebbe un blocco della comunicazione tra il nucleo delle cellule – dove risiede il DNA – e il citoplasma, che comprende tutto ciò che è presente nelle cellule a eccezione degli organelli e del nucleo. In questa regione avvengono molteplici funzioni essenziali, come la sintesi proteica, la glicolisi e la segnalazione cellulare, tra le altre cose. Questo blocco nel trasporto cellulare sarebbe causato dall’accumulo nel cervello dei cosiddetti granuli di stress (SG), ovvero “condensati citoplasmatici senza membrana che contengono mRNA non tradotto, fattori di pre-inizio della traduzione e proteine leganti l’RNA (RBP)”, come indicato in uno studio dell’Università di Parma. Più semplicemente, si tratta di aggregati di RNA e proteine che si formano in risposta allo stress, che può essere innescato da molteplici fattori, come le tossine legate all’inquinamento ambientale, la presenza di patogeni o la denutrizione.

I granuli di stress

In buona sostanza, questi granuli di stress, la cui funzione è proteggere l’RNA e le proteine, se si accumulano cronicamente nel cervello, fanno perdere funzionalità a un migliaio di geni e determinare una serie di eventi che sfociano nella neuroinfiammazione e nella neurodegenerazione, ovvero la morte dei neuroni, che è alla base dell’Alzheimer.

Quanto detto è confermato dalla scienza: nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer si possono notare molteplici anomalie nei geni che producono proteine fondamentali per le funzioni delle cellule. In pratica, bloccando le comunicazioni tra nucleo e citoplasma, gli aggregati di proteine e RNA catalizzerebbero lo stress cellulare innescando le anomalie tipicamente associate all’Alzheimer, come l’accumulo delle placche di beta-amiloide e i grovigli di proteina tau, “proteine appiccicose” rilevate nel tessuto cerebrale dei pazienti con la comune forma di demenza (anche se non sempre).

I fattori di rischio

Come detto, le cause effettive della malattia non sono conosciute, a differenza dei fattori di rischio genetici, come ad esempio la presenza di una variante del gene APOE4, e ambientali; dall’esposizione allo smog ai disturbi del sonno, passando per isolamento sociale, vizio del fumo e dell’alcol, basso livello di istruzione. Alla base di tutto ci sarebbe la profonda alterazione nell’espressione genica innescata da questi granuli di stress.

La ricerca statunitense

Questa nuova teoria sulla causa del morbo di Alzheimer è stata proposta da un team di ricerca statunitense del Banner Neurodegenerative Disease Research Center – Istituto di Biodesign dell’Università Statale dell’Arizona. I ricercatori, coordinati dal professor Paul Colemann, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di un precedente studio pubblicato nel 2022, nel quale un team di ricerca guidato dal professor Morgan aveva evidenziato che nei pazienti con Alzheimer erano presenti cambiamenti in oltre il 90 percento dei percorsi genetici presenti nel KEGG (acronimo di Kyoto Encyclopedia of Genes and Genomes), un ricco database bioinformatico che comprende molteplici informazioni su geni, proteine e malattie.

Cosa hanno detto i ricercatori

“La nostra proposta, incentrata sulla rottura della comunicazione tra nucleo e citoplasma che porta a massicce interruzioni nell’espressione genica, offre un quadro plausibile per comprendere in modo completo i meccanismi che guidano questa complessa malattia”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Coleman.

“Studiare queste prime manifestazioni dell’Alzheimer potrebbe aprire la strada ad approcci innovativi alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione, affrontando la malattia alle sue radici”, ha aggiunto l’esperto.

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Possibile svolta nella diagnosi della malattia

Dal momento che i segnali precoci dell’Alzheimer possono essere evidenziati ben 18 anni prima della manifestazione clinica della malattia, sembrerebbe che l’accumulo di questi granuli di stress avverrebbe in una fase ancora precedente. Di fatto, sarebbe la cronicizzazione di questi aggregati a bloccare il fondamentale trasporto cellulare tra nucleo e citoplasma, innescando tutti i percorsi biologici che portano alla malattia. Quanto detto potrebbe rappresentare una svolta nella diagnosi e nella cura dell’Alzheimer: “Il nostro articolo contribuisce al dibattito in corso su quando inizia davvero l’Alzheimer, un concetto in evoluzione plasmato dai progressi della tecnologia e della ricerca. Le domande chiave sono quando può essere rilevato per la prima volta e quando si dovrebbe iniziare a intervenire, entrambe con profonde implicazioni per la società e per i futuri approcci medici”, ha concluso il professor Coleman.

I dettagli della ricerca “Massive changes in gene expression and their cause(s) can be a unifying principle in the pathobiology of Alzheimer’s disease” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Alzheimer’s and Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.

L’importanza della prevenzione

Anche se non esiste una cura definitiva, adottare uno stile di vita sano (dieta equilibrata, attività fisica, stimolazione mentale, socialità e controllo dei fattori di rischio cardiovascolari) può ridurre la probabilità di sviluppare l’Alzheimer.

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