Maculopatia degenerativa, colpisce uno over 55 su 5. Come prevenire
Interessa la parte più delicata della retina e rappresenta la prima causa di cecità nei Paesi di maggior benessere, e la terza in assoluto: è la maculopatia degenerativa, una patologia che in Italia quasi il 50% dei malati non conosce, sottovaluta, o non ammette come problema (29%), nonostante colpisca circa un milione di persone nel nostro Paese.
A causa della degenerazione maculare senile, che interessa un over 55 su 5, un italiano su 4 sopra i 60 anni è ipovedente e uno su 6 cieco.
La maculopatia, inoltre, è una malattia poco conosciuta anche nella fascia di popolazione coinvolta: solo il 17% degli anziani sa che riguarda la vista.
Gli esperti dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) avvertono di fare attenzione a fumo e all’esposizione ai raggi solari, spiegano quando e come occorre prestare attenzione ai primi sintomi ed evidenziano i benefici degli acidi grassi omega 3.
“Il paziente, nelle fasi iniziali può non accorgersi della malattia – osserva Eliana Palermo, del Centro di Neuroftalmologia dell’Istituto – Con il progredire della stessa però può cominciare a notare un calo progressivo della vista che si fa offuscata, oltre a un annebbiamento complessivo, soprattutto nella parte centrale della retina. La visione ne risulta distorta, una linea dritta appare ondulata e, quando il paziente legge, compare una macchia scura al centro del campo visivo. Con il tempo non riconosce le lettere e non mette a fuoco il contorno dei visi“.
Quali sono le terapie più diffuse?
“Per parlare di terapia vanno prima distinti i due tipi di degenerazione maculare – spiega Palermo – Ne esistono infatti due forme: ‘umida’ (caratterizzata da un decorso più rapido e violento, con un calo della vista importante in un tempo molto breve) e ‘secca’ (considerata meno grave perché progredisce più lentamente)“.
“Per la prima – precisa l’esperto – esistono nuovi farmaci in grado non solo di rallentare la progressione della malattia, ma anche di migliorare l’acutezza visiva dei pazienti. Si fa una diagnosi con esame del fondo oculare e con l’esame della fluorangiografia. Quindi si stabilisce un iter terapeutico che deve seguire il paziente. Si inizia con dei trattamenti laser, con iniezioni intravitriali (con sostanze che vengono iniettate nell’occhio per evitare la proliferazione della malattia), fino ad arrivare alla vitrectomia, ovvero l’intervento chirurgico sulla retina“.
“Per la seconda forma – prosegue Palermo – al momento abbiamo poche terapie, quindi si segue l’andamento della patologia nella sua evoluzione. Si modifica lo stile di vita del paziente, con dei suggerimenti opportuni anche per quanto riguarda l’alimentazione. Mangiare regolarmente pesce ricco di omega 3 e frutti di mare, introdurre sali minerali e antiossidanti non solo può proteggere contro la forma avanzata di degenerazione maculare, ma potrebbe ridurre il rischio di sviluppare la malattia“.
Quanto conta la prevenzione?
Si prevede che, nel 2020, circa 196 milioni di persone nel mondo saranno colpite da degenerazione maculare legata all’età, una cifra probabilmente destinata a crescere con l’invecchiamento demografico mondiale.
“La prevenzione – ricorda ancora Palermo – inizia con delle visite oculistiche periodiche che possano mettere in evidenza l’insorgenza di questa patologia ancor prima dei sintomi del paziente. Ovviamente rientra nel concetto di prevenzione uno stile di vita corretto: oltre a una dieta ricca di frutta, verdure e pesce, occorre evitare il fumo e l’esposizione diretta ai raggi solari“.
“Negli ambulatori Neuromed – riferisce l’esperta – abbiamo attivato un servizio per la diagnosi, la prevenzione e la cura delle maculopatie. In questo ambito, teniamo conto anche del fatto che alcuni geni predispongono all’insorgenza della malattia. Per questo viene effettuato un prelievo di sangue per studiare la predisposizione genetica. I risultati dell’esame vengono valutati assieme al genetista anche per disegnare l’albero genealogico, un dato importante per estendere la prevenzione e la diagnosi precoce anche agli altri componenti della famiglia. Ricordiamo che identificare all’esordio questa patologia, soprattutto nella cosiddetta forma umida, significa curarla con maggiori probabilità di successo“, conclude la specialista del Centro Neuroftalmologia dell’Irccs Neuromed.