In un libro di Gagliani l’epoca d’oro del jazz di Evans e Miles
ROMA (ITALPRESS) – Arriva nelle librerie Feltrinelli e su Amazon per le edizioni Lswr, con la grafica di Danilo Stifano, con allegato il relativo 33 giri in vinile, “Note in bianco e nero” di Mam Gagliani: è il monologo sull’unione tra il “genio bianco”, Bill Evans, e la formazione di Miles Davis, il più grande jazzista nero di tutti i tempi. Dopo la rappresentazione dello scorso 15 settembre al Teatro Parenti di Andrèe Ruth Shammah a Milano, ora il testo sarà riproposto da Radio Parenti, l’emittente web del teatro, in attesa di poter richiamare sul palcoscenico l’attore Corrado Tedeschi, con la regia di Marco Rampoldi. Nel 33 giri sono raccolti i brani dell’epoca d’oro del jazz. Mam (diminutivo di Massimo, così lo chiamava da bambino la sorellina) Gagliani, 62 anni, docente universitario e odontoiatra da sempre appassionato di jazz, ha voluto ripercorrere lo straordinario e tempestoso legame tra il grande pianista bianco Bill Evans e il mito di colore Davis.
“Il tema che mi ha incuriosito aveva contorni paradossali: alla fine degli anni Cinquanta un nero, il soprannaturale Miles Davis, dominava, professionalmente, un bianco, il genio del piano Bill Evans, nel tempo in cui i bianchi segregavano i neri. Insieme hanno dato vita a capolavori immortali, vivendo in un mondo complicato dove, travolti da droga e alcool, i miti del jazz cadevano, si trascinavano, morivano, gettando al vento il loro talento. Ho usato una metafora letteraria, fingendomi un fotografo che aveva avuto la fortuna di frequentarli. Conobbi, in questo singolare sogno, Bill e, una volta unitosi a Miles, mi fecero assaporare atmosfere irripetibili”, racconta l’autore.
(ITALPRESS).
“Il tema che mi ha incuriosito aveva contorni paradossali: alla fine degli anni Cinquanta un nero, il soprannaturale Miles Davis, dominava, professionalmente, un bianco, il genio del piano Bill Evans, nel tempo in cui i bianchi segregavano i neri. Insieme hanno dato vita a capolavori immortali, vivendo in un mondo complicato dove, travolti da droga e alcool, i miti del jazz cadevano, si trascinavano, morivano, gettando al vento il loro talento. Ho usato una metafora letteraria, fingendomi un fotografo che aveva avuto la fortuna di frequentarli. Conobbi, in questo singolare sogno, Bill e, una volta unitosi a Miles, mi fecero assaporare atmosfere irripetibili”, racconta l’autore.
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