Batteri contro i chimici eterni (PFAS), la scoperta che cambia tutto

Un team di ricercatori scopre batteri capaci di degradare i pericolosi PFAS, i “chimici eterni”. Quali sono e come influiscono su ambiente e salute?

Un gruppo di scienziati ha aperto una nuova frontiera nella battaglia contro l’inquinamento ambientale. Alcuni batteri, isolati in un suolo contaminato, dimostrano di potere degradare i PFAS, noti come “chimici eterni” per la loro resistenza estrema. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment, arriva dall’Università di Buffalo e offre un barlume di speranza per affrontare una delle minacce più insidiose del nostro tempo. Ma cosa sono questi composti, dove si trovano e quali rischi comportano per la salute? Ecco i dettagli.

Una scoperta rivoluzionaria

Un team di ricercatori dell’Università di Buffalo ha identificato una specie batterica capace di attaccare i PFAS, sostanze chimiche sintetiche che resistono alla decomposizione naturale. Si tratta della Labrys portucalensis (F11), isolata in un terreno industriale contaminato in Portogallo. Questo batterio si rivela un alleato potente: in 100 giorni, metabolizza oltre il 90% dell’acido perfluorooctano sulfonico (PFOS), uno dei PFAS più diffusi e pericolosi. La scoperta segna un passo avanti cruciale nella lotta contro la contaminazione ambientale.

Cosa sono i PFAS?

Le sostanze perfluoroalquilate e polifluoroalchilate (PFAS) costituiscono una famiglia di oltre 4.700 composti sintetici. Questi agenti chimici, sviluppati per le loro proprietà uniche, si distinguono per la loro eccezionale persistenza. La loro struttura molecolare li rende resistenti all’acqua, al calore e alla degradazione, guadagnandosi il soprannome di “chimici eterni”. Presenti nell’ambiente e nel corpo umano per decenni, i PFAS rappresentano una sfida globale per la loro capacità di accumularsi senza dissolversi.

Dove si trovano i PFAS?

I PFAS si nascondono in oggetti di uso quotidiano. Pentole antiaderenti, contenitori per alimenti, abbigliamento e tessuti resistenti alle macchie o all’acqua, cosmetici e persino l’acqua potabile in alcune aree contaminate ne contengono tracce. La loro versatilità li rende preziosi per l’industria, ma la loro presenza ubiquitaria aumenta i rischi per l’ecosistema e la salute umana. Ogni giorno, milioni di persone entrano in contatto con questi composti senza saperlo, alimentando un problema silenzioso ma pervasivo.

I risultati dello studio

Lo studio dimostra che la Labrys portucalensis F11 non si limita a degradare il PFOS. Neutralizza anche sottoprodotti tossici generati nel processo. I test di laboratorio confermano che il batterio abbatte il 58% dell’acido carbossilico di fluorotelomero e il 21% del sulfonato di fluorotelomero, due varianti di PFAS altrettanto nocive. Questi numeri evidenziano il potenziale della F11 come arma biologica contro la contaminazione. I ricercatori sottolineano che il batterio potrebbe trovare applicazione in siti industriali o aree inquinate, riducendo la presenza di composti tossici nell’ambiente.

Impatti sull’ambiente

I PFAS minacciano gli ecosistemi terrestri e acquatici. La loro persistenza li porta ad accumularsi nel suolo, nei fiumi e negli oceani, alterando gli equilibri naturali. Pesci, uccelli e mammiferi ingeriscono queste sostanze attraverso la catena alimentare, trasferendole fino all’uomo. La scoperta della F11 offre una possibile soluzione per spezzare questo ciclo, limitando l’impatto a lungo termine di questi “chimici eterni” su flora e fauna.

Rischi per la salute umana

Gli effetti dei PFAS sulla salute umana destano preoccupazione. Studi preliminari collegano l’esposizione a questi composti a danni epatici, malattie tiroidee, obesità, problemi di fertilità e persino alcuni tipi di cancro. La gravità dipende da fattori come la durata dell’esposizione, la concentrazione delle sostanze e la vulnerabilità individuale. Sebbene la ricerca continui a esplorare questi rischi, i dati attuali suggeriscono che i PFAS rappresentino una minaccia reale, soprattutto per le comunità vicine a siti contaminati.

Prospettive future

La capacità della Labrys portucalensis F11 di degradare i PFAS apre scenari promettenti. Gli scienziati ipotizzano di utilizzarla in bioremediation, un processo che sfrutta microrganismi per bonificare aree inquinate. Tuttavia, servono ulteriori studi per ottimizzare il suo impiego su larga scala e verificarne l’efficacia in contesti diversi.

Un passo verso la soluzione

La scoperta della F11 non risolve da sola il problema dei PFAS, ma accende una luce in un tunnel finora buio. Con oltre 4.700 varianti di questi composti sparse nel mondo, la sfida rimane immensa. Gli esperti concordano: combinare questa innovazione con normative più severe e tecnologie avanzate sarà essenziale per ridurre l’impatto dei “chimici eterni”. Intanto, il lavoro dell’Università di Buffalo dimostra che la natura, con i suoi batteri, può diventare un’alleata preziosa nella difesa dell’ambiente e della salute.

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